foto di Laura Saviano

martedì 4 giugno 2013

Una stagione di fede assoluta


E' finito tutto davanti ad uno schermo di un portatile collegato su uno dei tanti siti illegali che trasmettono partite di calcio in streaming. Vedendo l'enorme coreografia con la scritta “Combatti” apparsa in Curva Nord devo ammettere che mi è venuta parecchia rabbia per non essere lì. Io che quest’anno mi ero visto pure Livorno-Pro vercelli sotto l'acqua, io che non mi ero fatto mancare nemmeno la Coppa Italia di agosto. Ma si sa, in dieci mesi succedono tante cose nella vita di una persona, o almeno a me piace che sia così. E in questo caso il destino mi ha portato a guardare la partita delle partite, la finale di ritorno all'Armando Picchi, seduto sul letto di una casa sperduta nell'ultima banlieu di Francia. Chi l'avrebbe detto.

Non vorrei commentare la partita, è andata come era giusto che andasse, non vorrei commentare nemmeno le mie urla solitarie e il senso di malinconia che si prova nel festeggiare da soli per una cosa che nessuno intorno a te può capire. Vorrei invece scrivere per quelli che capiranno benissimo di cosa sto parlando, per i livornesi, e se lo faccio solo adesso è forse perché a guardarli da lontano si riescono a capire meglio, come certi quadri impressionisti. Ma Livorno, nonostante Fattori e Modigliani, ha un'anima che in fondo ha poco a che fare con l'arte. Per capirla veramente bastava quest’anno andare in Curva Nord, una sorta di museo di storia naturale a cielo aperto che mette in mostra la fauna locale. Sì perché in curva ci sono delle vere e proprie specie rare, individui che non potresti trovare da nessun'altra parte al mondo, che riflettono perfettamente lo spirito della città. E' per questo che mi piace andarci. Ogni volta è una specie di esperienza socio-antropologica che si intuisce semplicemente osservando la genuinità verace del tifoso, perennemente in bilico tra il dramma sportivo e l'ironia canzonatoria. Nel livornese allo stadio c'è qualcosa di originale e unico, qualcosa in via d'estinzione come la sua fede politica, ma che tuttavia resiste e si mostra con orgoglio.

Quella pancia accogliente, quei gradoni di cemento consumati da quasi cento anni di pioggia, di sole, di vento e di bestemmie, durante le partite assomiglia a un vascello, un galeone di pirati dove si lanciano cori come fossero ordini di navigazione, dove capi ultras arrampicati in posizioni improbabili urlano come timonieri che spronano al canto una ciurma esausta e ignorante.

Ecco questa è la Curva Nord, una nave pirata troppo svogliata per salpare dal suo porto, troppo attaccata alla terra per prendere il mare e che allora si ritrova ogni sabato o domenica che sia, per gridare e per sostenere la maglia che porta il colore della sua bandiera, la bandiera amaranto. E così, sorretti dalla fede in Che Guevara e Igor Protti, i pirati livornesi, dopo qualche anno di dissidenze, si sono ritrovati compatti, sugli spalti, a incoraggiare senza sosta gli animi dei giocatori della propria squadra. Non hanno mai chiesto la vittoria, fateci caso. Il tifoso livornese non vuole vincere, perché non è abituato a farlo, perché sì, diciamocelo per i provinciali come noi il successo è un lusso che non possiamo concederci a lungo perché non ne sapremmo sostenere il peso.
Solo una cosa volevano vedere: il cuore.
Perché quando tifi Livorno non ti puoi permettere di essere molto esigente, ma chiedi solamente di vedere sul campo quello che tu hai imparato a fare benissimo, ovvero saper soffrire, e alla tua squadra cerchi di infondere la stessa abitudine e lo stesso coraggio a farlo, a lottare contro tutti, contro il potere, contro la giustizia e l'ingiustizia. Perché chi è piccolo per sopravvivere questo deve saper fare: combattere, anche se è tutto inutile, anche se contro lo Spezia in casa perdi 5-0 e ti hanno espulso il portiere dopo nemmeno 10 minuti per un fallo che non c'era. Perché alla fine hai perso solo se smetti di cantare, e in quella partita, al termine dei 90 minuti c'era solo una tifoseria che cantava ed eravamo noi.
Non credo che molte squadre possano vantare una tifoseria che sul 5-0 per gli avversari faccia quel tifo, con quella forza, con quell'irrazionale orgoglio disperato che ho visto negli occhi della gente quella sera di ottobre. E' nato tutto là, è stato come un miracolo, quel coro recitato all'infinito come un mantra che racconta di una curva che “non si lascia rallentar”, una preghiera profana scagliata contro il destino infame e la voglia di farcela comunque. La stessa irrazionale voglia che ci ha fatto rimontare 2 gol al Sassuolo, sotto una pioggia battente di Dicembre, e che poi si è andata a depositare sul piede di Salviato,uno che di solito con il pallone non ha molto feeling, un attimo prima di folgorare il portiere nel “sette” facendoci vincere la partita.
Tutti segnali di un annata che non poteva andare diversamente, che doveva concludersi così, con le invasioni di campo, i giocatori portati in trionfo e la festa nelle strade che posso solo immaginare. L'ultima immagine in diretta che ho nella mente, prima che la connessione internet crollasse definitivamente, è la faccia stravolta dalla felicità di Emerson, uno che di battaglie sportive e non, deve averne fatte parecchie. Con questo non voglio idolatrare nessuno, né i giocatori, né i tifosi.

Personalmente credo che le passioni, e più in generale la fede cieca, di qualsiasi tipo, spesso ci impediscano di crescere, di evolverci, di migliorarci. Ma al tempo stesso sono una di quelle poche cose che ci permettono di trovare un senso alle nostre giornate. Forse è proprio per questo che il simbolo della nostra città non è diventato Ferdinando I vincitore sui Mori, ma proprio quei 4 sporchi pirati incatenati. Ecco quelli sono i livornesi, quelli, volenti o nolenti, siamo noi.
Tra qualche mese nuove sfide calcistiche attenderanno la città, nuove trappole gli verranno tese, ma state certi che i pirati saranno ancora lì, sporchi, incatenati, pronti a combattere, fino all'ultimo bandito per restare schiavi della propria passione.

Avanti tutta Livorno !



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