foto di Laura Saviano

lunedì 29 ottobre 2012

Il sorriso del lunedì

Il sottopassaggio della stazione alle 8 e 30 assomiglia ad un grande imbuto che riversa masse assonnate di studenti, lavoratori e quant'altro, nella bottiglia, dal collo sempre troppo stretto, di una nuova settimana che sta per iniziare.
Ti confondi con quella gente, ne sei parte, ma c'è una cosa che ti differenzia ancora da loro: la curiosità. Camminano tutti con la testa bassa, gli occhi persi nel vuoto o nell'I-Phone che stringono nelle mani come un amuleto prezioso. Si muovono per inerzia e abitudine. Tu invece no. O almeno, non ancora. I tuoi occhi frugano tra le persone alla ricerca di un volto noto, di una faccia interessante o di qualcosa che non sai nemmeno tu cosa sia. A volte hai l'occasione di scambiare due parole con qualche amico, conoscente o semisconosciuto, da cui scaturiscono conversazioni brevi e imbarazzanti sul tempo, le partite della domenica o chissà che altro. Il tutto mentre ti sforzi di ricordare il nome del tuo interlocutore. Non ci riesci quasi mai.
Altre volte invece ti capita di innamorarti per una attimo della tipa che ti ha appena degnato di uno sguardo distratto, mentre correva verso il suo treno. Quando è già scomparsa dietro le tue spalle, come ogni volta pensi che l'amore sia solo una questione di fortuna, sospiri e vai avanti, affrontando la rampa di scale che ti porterà verso una nuova giornata, verso un nuovo punto di domanda che solo il tempo saprà spiegare, sperando ancora in un incontro fortuito, in un inciampo felice che faccia tornare i conti pari, che rimetta le cose al loro posto.
In fondo ti basterebbe poco. Baratteresti volentieri gli ultimi due anni di sfighe per due ore felici. Sarebbero sufficienti a ricaricarti e per rimettere la bilancia del presente in parità. Un condono del tempo perduto.
All'uscita della stazione osservi i senegalesi, con chili di ombrelli appesi sugli avambracci, guardare speranzosi il cielo grigio e carico di pioggia. Forse baratterebbero anche loro, gli ultimi due anni per due ore di pioggia. Si, due ore di pioggia, quattro ombrelli venduti e venti euro in tasca, per far tornare i conti pari, almeno fino a sera. E così, dopo aver rifiutato l'ultima offerta di riparo sotto un ombrello dalla breve aspettativa di vita, ti senti un essere piccolo ed egoista per aver pensato a quello che ti manca senza aver considerato quello che hai e che hai sempre avuto senza neanche essertelo meritato. E allora pensi che forse è meglio mettere da parte i conti, le bilance e le sfighe immaginarie, e semplicemente continuare a camminare verso il tuo nuovo lavoro mal retribuito, senza perdere di vista l'orizzonte, anche quando non riesci a scorgerlo.
Arrivi con il tuo ritardo cronico, fai un cenno alla portiera con il piercing sulla fronte, lei ti saluta e apre. In ascensore cerchi di aggiustarti i capelli, puntualmente fuori posto e recentemente deturpati dal tuo parrucchiere, sempre così distratto, che mentre ti chiede che taglio desideri parla con altri due clienti, guardando il televisore con le forbici in una mano e una lattina di birra nell'altra, e se gli squilla il cellulare lo vedi esitare per un attimo finchè poi si decide, posa le forbici e risponde. Perchè tra le forbici e la lattina vince sempre la lattina.
Arrivi davanti alla porta del tuo ufficio e prima di entrare prendi un respiro profondo, cercando anche stavolta di trovare l'antidoto a tutto quel veleno di ordinarietà che sta per arrivarti addosso. Lo trovi forse in quei braccialetti comprati dai senegalesi che la manica allungata verso la maniglia della porta fa scoprire. Ti riportano ad epoche lontane, felici e spensierate. Poi entri, guardi i tuoi colleghi e mentri li saluti ti accorgi senza capire che anche questo lunedì stanno tutti sorridendo.

1 commento:

  1. ma vai sempre da pallesecche o sei riuscito a trovarti un nuovo parrucchiere distratto?

    -nico-

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