foto di Laura Saviano

domenica 6 gennaio 2013

Una ricerca rigida e confusa


Ancora un altro sabato cominciato in una macchina e finito in un’altra, iniziato in una città e terminato in un’altra, le compagnie della notte che si avvicendavano come un valzer. Sabato di città battute a piedi per cercare di non bere, perché abbiamo tutti gli stomaci troppo rovinati dai viaggi, dai tirocini mal retribuiti e dal volontariato poco volontario. Di città attraversate in auto, verso il porto e il cielo che ieri notte assomigliava esattamente a come dovrebbe essere una notte di dicembre. E le chiacchiere alla ricerca di qualcosa che ci manca sempre ma non sappiamo cos’è, una luce blu che colorava le nostre parole, una vaschetta di patatine condivise, amici, sguardi disillusi, una ricerca rigida e confusa, le tre di notte, musica che non ascolta nessuno.
Disumane pazienze mi corrodono la mente arrugginita dall’abitudine eppure ancora disposta a sognare, a sbattere questo corpo umano, con tutte le sue necessità, nella solitudine di due città divise da un fiume con un nome cattivo, una palude, una raffineria, una base militare. Le peggiori schifezze dell’uomo ammassate in quei venti chilometri di distanza.
A volte vorrei non scendere da quel treno, fingere di essermi addormentato e proseguire la strada dei binari, senza sapere dove andare eppure andare lo stesso, come se fosse sabato sera e non lunedì mattina, come se non ci fosse passato, per vedere se è mai possibile almeno una volta capire tutto insieme, nello stesso istante, un’illuminazione globale su come devono andare esattamente le cose. E riuscire a non guardare più i palazzi di sette piani, il telefono, facebook, l’orologio.
Sabato accanto a un fosso, sabato in collina, sabato circumnavigato, sabato ammazzato, e le gambe che possono portarci ovunque se solo ce ne rendessimo conto. E chiediamo l’aiuto del vino, della birra, degli occhi delle solite persone per sentirci meglio. Undici ore di sonno possono bastare per non dormire per altri tre giorni, ho fatto il pieno e caccio il mal di testa con le tazzine dei caffè pagati settanta centesimi con i miei guanti da barbone, perché avevo finito i soldi e in quel bar c’era solo rds con la sua musica nazional popolare, con le canzoni da autogrill, canzoni da suv con pagamento rateizzato, tag 180 taeg 160.
Ma non ascolto, non vedo, non sento più niente. I precipizi non fanno male se non ci cadiamo dentro. Guardo tutta quella gente che parla, beve, balla, fuma e si diverte con i soldi dei genitori, della nonna e della zia e mi chiedo se c’è ancora qualcuno che non ha capito che tra vent’anni saremo tutti poveri. Tutto questo finirà ma che importa, spingiamo la notte più in là, addentriamoci ancora un po’ nella foresta dell’ignoranza. Quando andremo a sbattere forse staremo ancora ridendo.

Usciamo ancora la sera per respingere il pensiero del lavoro che incombe, e forse le uniche ore vissute sono quelle passate a distrarci, le attenzioni sono tutte perdite di tempo, e il denaro è più bello sperperato nei vini. Voto di castità, voto di libertà, voto utile, le mie primarie sentimentali non hanno vincitori, magistrati al comando della sinistra, un tempo li ammazzavano adesso li votano, da quando la legge è diventata di sinistra. Disillusioni piene di idealismo, il sapore di una consapevolezza, la paura di un dubbio, la viltà di lavorare, il coraggio di continuare a farlo o viceversa.

E’ l’ultimo giorno dell’anno e invece tutto è senza fine, tutto è senza inizio, tutto scorre dentro me, senza di me. L’io disinfettato, ripulito da tutti i sogni, bisogna restare attaccati alla realtà per vivere bene, è calda, comoda e puzza come tutto ciò che è marcio. Ancora i cocteau twins per illudersi di non essere qui, di non vivere questo momento ma un altro, eterno, in un luogo pacificato, demonetizzato. Una vita passata ad aspettare il venerdì sera per poi dormire presto. Come fa male vivere in un tempo così vuoto. Ma dobbiamo continuare la ricerca fino in fondo, anche se non sappiamo cos’è che ci serve, cos’è che vogliamo e dove si trova. Anche se non ne abbiamo più voglia. Eppure dobbiamo cercare.

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