Un pungente odore di
calzini sporchi, un mal di testa sconfitto quando ormai è ora di
andare a dormire. La punta del mio naso è fredda come non succedeva
da mesi lontani e privi di bei ricordi.
Nelle mie parole al vento
di stamani ripetevo che bisogna respingere l'arrivo dell'inverno a
colpi di sorrisi e risate.
Ma i canali della Venezia
muoiono ogni giorno, immobili, senza corrente, come i suoi avventori
notturni che bevono e fumano su quelle torbide acque sicure. Non
arriveranno mai al mare, entrambi.
Non riesco a finire niente
perché faccio finire tutto, anche i miei buoni propositi e
l'ottimismo a tempo determinato, e c'è ancora qualcosa che ostruisce
il passaggio, come quel ponte rimasto diga, confine di cemento tra il
dolce e il salato. E dopo un panino vegetariano con funghi scaduti,
l'umido della notte nelle ossa, dopo che gli altri fumano canne e
mangiano carne evocando notti folli e sanguinolente, incontri
ravvicinati con ominidi e delinquenti di natura varia, trovare dentro
un sorriso diventa impresa ardua.
E' rimasto solo di urlare
DIECI nella sala Beckett.
E alla fine condividere
tutto questo con voi, amici e non, non offendetevi, è ancora più
penoso che scriverlo. Eppure c'è ancora questo bisogno, la speranza
silenziosa che giace in fondo alle parole, di essere capiti, almeno
da qualcuno.
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