foto di Laura Saviano

sabato 19 ottobre 2013

Novoli


La cosa che sorprende del polo universitario delle scienze sociali di Novoli, Firenze, è che assomiglia veramente a un'università. Ci sono cose normali per una struttura universitaria e quindi straordinarie per uno come me che si è laurato in un palazzo ottocentesco in rovina. Il palazzo ottocentesco della mia vecchia facoltà è semidiroccato e allo Stato costa più tenerlo ancora in piedi che costruirne uno nuovo. Ma non lo fanno, perché il mattone rende solo se si investe nelle case.

Al polo universitario delle scienze sociali di Novoli invece è tutto nuovissimo e pulitissimo. Ci sono enormi aule studio ad ogni piano, tutte piene in ogni ordine di posto di studenti che studiano veramente, in un silenzio che suona di concentrazione, con tanto di divisorio in mezzo ai tavoli per non distrarsi guardando chi si ha di fronte.

Al terzo piano del dipartimento di scienze politiche e sociali ieri c'era il colloquio per l'esame di dottorato. Un cartello avvisa che non si può prendere l'ascensore senza prima consegnare un documento d'identità in portineria. Sticazzi, prenderò le scale. Errore. Dopo tre piani di scale un altro cartello mi avverte che per aprire le porte ci vuole il badge. Il badge è una tessera magnetica ma in italiano non vale.

Al polo universitario delle scienze sociali di Novoli si devono dare una certa importanza, mi dico, altrimenti non avrebbero adottato un sistema di accesso che si ispira a quello della Nasa o della Cia. Forse il dipartimento nasconde documenti essenziali per la storia politica e sociale del nostro paese. Forse qui i professori sono ancora minacciati dalle nuove Brigate Rosse e vanno in giro con la scorta. Forse sono solo molto zelanti. Chissà. Ad ogni modo raggiungo la portineria, il bidello (che se leggesse non mi perdonerebbe mai di averlo chiamato così) mi conferma che per prendere l'ascensore, le scale e l'elicottero (da qualche parte deve esserci anche quello) ci vuole il badge. Il badge. Ma lui adesso non me lo può dare, perché sono finiti, li hanno tutti presi i miei colleghi. Dopo qualche minuto di trattativa lo convinco ad aprirmi le porte dell'ascensore con il suo badge.

Il terzo piano del dipartimento di scienze politiche e sociali del polo universitario di Novoli assomiglia al reparto di una clinica ospedaliera. Privata. Ci sono le luci al neon, la moquette, le stampe antiche della città di Firenze incorniciate alle pareti, la sala d'attesa, con divani in pelle, tavolini con tanto di quotidiani, riviste settimanali e rotocalchi. Cerco la pianta di ficus (simbolo del potere, direbbe Villaggio) ma con un pizzico di delusione mi accorgo che non c'è.
Mi siedo sul divano ma subito mi accorgo che c'è un caldo incredibile. Mi sposto verso la finestra, fuori c'è una bella giornata autunnale, con un sole tiepido che scalda la terra alla giusta temperatura. Guardo fuori e sono contento, anche se le finestre sono bloccate (ci vorrà il badge per aprirle?).

Qui, a Firenze, al polo universitario di Novoli, tutto sembra più grande, più efficiente, insomma, migliore. Di colpo mi rendo conto di quanto sia provinciale la mia vecchia facoltà, ma anche la mia vita. Di quanti limiti si compone la mia mente, di quanto poco basterebbe per buttarli giù (qualcosa da fare, un treno, una mattina d'ottobre) di quanto sia difficile trovare delle idee, costruirsi un progetto che non sia limitante per se stesso. Finora ho solo scambiato la mia provicia con altre province. Arezzo, Pisa, Bordeaux. Che poi era Bègles, una povera banlieu. E' colpa mia, è colpa del mondo, non so.

Un'intervista a un giovane calciatore sulla rivista che ho in mano mi riporta alla realtà. Marco Verratti gioca nel Paris St. Germain da ormai un anno e mezzo. Dice che andarsene da casa a 19 anni gli è pesato molto. E' molto difficile integrarsi a Parigi, dice. Però adesso assicura che del francese capisce tutto, è solo che non riesce ancora a parlarlo. Per il suo compleanno si è fatto un regalo, si è comprato un Suv, bianco, con i vetri oscurati, anche se non ha ancora la patente. Agli allenamenti ce lo porta uno degli chaffeur della società. Non ha nemmeno il diploma di maturità, si è fermato al secondo anno di ragioneria, perché gli allenamenti non gli permettevano di studiare.
A Parigi delle volte si sente molto solo, per fortuna che si portato con sé la fidanzata, il fratello e i genitori. Appena può però torna nella sua Pescara, perché lì c'è tutto, lì non gli manca niente. Alla fine dell'intervista Marco Verratti ci confida che quest'estate stava per tornare in Italia, una grande squadra lo aveva cercato ma poi il club parigino gli ha ritoccato il contratto e lui ha deciso di rimanere. Adesso prende 1 milione e ottocento mila euro l'anno.
- Come hai deciso di investire i tuoi soldi?
- Nel mattone, risponde Marco, mi sono comprato una villa a Pescara, e poi una New York. Non ci vado quasi mai però quando capita è bellissimo, sembra di vivere dentro un film. Però niente è come Pescara, lì non mi manca niente.

2 commenti:

  1. e si mi permettessi di dire "esticazzi" sia per Novoli sia per Verratti? :) una godibilissima lettura, grazie Luke!

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